Il cinema di Paolo Gioli

Programma #1

 

“Tracce di tracce” 1969
Film 16 mm colore, muto, 18 ftg/s, 10′

Tracce di tracce. Eseguito e stampato a due mani, vale a dire: fatto uso di tutte le impronte possibili della mano e del braccio destro su inchiostro di pennarello fresco, carta vetrata, timbri, ecc. Il tutto su pellicola bianca non emulsionata.

 

“Interlinea” 2008
Film 16 mm colore, muto, 24 ftg/s, 5’12”

Interlinea. Tratto da frammenti di film erotico ritrovato, dove l’interlinea che divide i fotogrammi si situa come forma plastica oscura che si dibatte al centro dello schermo anche in verticale, la lama di un otturatore seziona i corpi dell’eros per i desideri del fotogramma e della sua cornice.

 

“Finestra davanti ad un albero” 1989
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 13′

(dedicato a Fox Talbot)

Finestra davanti a un albero. Ho alcune finestre all’inglese e ciò mi ha obbligato a pensare alla finestra di Talbot -la sua prima immagine, forse, così come l’Albero d’inverno-. Realizzato sempre con la tecnica -ma meglio sarebbe dire disciplina– del flicker cioè “l’ondeggiare, tremolare, guizzare, lampeggiare… brillare debolmente” del dizionario, insomma della cinèsi fosforescentica tutta. Tratto da una esigua monografia (vale a dire da inchiostro da stampa là dove c’erano sali d’argento) ho tentato di scuotere la mia finestra con la sua là dove c’era un albero d’inverno. Incrociando dissolvenze tra vero e non vero, il fisso con l’animato delle sue opere vive, mi è parso di ricostruire ciò che a Talbot forse sarebbe successo: di filmare la mia finestra d’inverno.

 

 

“Commutazioni con mutazione” 1969
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 7′

Commutazioni con mutazione. Composto da formati di tre nature diverse e fatti coesistere: Super 8, 16 mm e 35mm in un unico supporto originario 16mm, bianco. Le misure diverse hanno fatto sì che le loro interlinee primitive venissero a contatto e regolate (e con loro le immagini) da un unico ritmo diabolico. I formati suddetti sono stati alternativamente incollati con nastro adesivo trasparente, frammento su frammento.

 

“I volti dell’Anonimo” 2009
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 10’30”

I volti dell’Anonimo. Volti e figure trovati su rullini di autore sconosciuto dei primi anni del ‘900. Ho trascinato le immagini attraverso quella che probabilmente era la sua cinepresa che avevo comprato in un vecchio negozio di Roma nel ’72. I fotogrammi [vi] si trovavano verticali e orizzontali, singoli e in brevi sequenze e così le ho lasciate sovraimprimendo [con più riprese] e con dissolvenze naturali date dall’otturatore della vecchia cinecamera, con velocità [di ripresa] manuali, rallentamenti e arresti improvvisi. Insomma, una cinepresa che riprendeva una cinepresa e le sue viscere attraverso la sua finestrella, l’animazione di uno sconosciuto autore-sperimentatore.

 

 

 

 

Programma #2 

 

“L’uomo senza macchina da presa” 1973-’81-’89
Filmstenopeico 16 mm bianco e nero/colore, muto, 18 ftg/s, 13′

(dedicato a Rainer Gemma Frisius)

Questo film, come dice il titolo vertoviano è stato eseguito senza macchina da presa, più precisamente è un utensile autoprogettato per restituire immagini, liberate dall’ottica e dalla meccanica. Lo sostituirsi alla cinepresa tradizionale fa parte di un mio, ormai prolungato gesto verso la spogliazione di una tecnologia di consumo, tossico della creatività pura. Questa strana cinecamera è una semplice asta cava di metallo, spessore cm 1, larga cm 2 e alta poco più di un metro. Alle estremità due bobine raccolgono il film in 16 mm. Il suo trascinamento avviene manuale, con tempi e spazi intermedi. Le immagini entrano simultaneamente attraverso 50 fori distribuiti su di un lato in prossimità di ogni fotogramma, i quali vengono in sostanza a comporre 50 piccole camere obscure a foro stenopeico (dal greco Stenos=Corto e dal Tema Op di Orao=Vedere). Questi piccolissimi fori messi di fronte, per esempio, ad una figura in piedi, la vanno ad esplorare nella sua verticalità senza però alcun movimento, proprio perché ogni foro riprenderà il punto, il dettaglio in cui si verrà a trovare. Uno dei risultati più evidenti sarà appunto, quello di trovarsi di fronte ad un “movimento di macchina” mai avvenuto. Compulsazioni pneumatiche un po’ stregate; allontanamenti e attraversamenti sul volto e sul corpo ricostruiti con cinquanta punti-immagine.

 

“Immagini travolte dalla ruota di Duchamp” 1994
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 10′

Collaborazione di Giovanni Cappello
(dedicato a J.M.Bouhours)

Immagini travolte dalla ruota di Duchamp. Duchamp è certamente complesso quanto Joyce e, per fare qualcosa su di lui, ho provato a dedicargli questo breve poemetto filmico agendo solo su alcune immagini di immagini delle sue opere tratte sempre da libri e cataloghi (cioè dall’inchiostro). Per esempio, oscurando i raggi di una ruota lasciando fessure regolari, trasformandola così in un vero otturatore-esterno che è venuto a sostituire quello della mia cinepresa, mancante. Ruota di bicicletta che si fa cinema e viceversa. Per esempio la sua finestra nera che si trasforma in tanti schermi-video, ecc. Su Duchamp mi sentirei di fare un film per ogni sua opera perché mente, ironia e alchimia sono proprie del cinema.

 

“Filmfinish” 1986-’89
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 13′

Filmfinish. Questo film è costruito con la tecnica di ripresa del cosiddetto fotofinish attuato nelle gare sportive. Lo stesso principio è applicato -appunto- alla cinecamera. I soggetti sono esplorati e autoesplorati da una sottile fessura sistemata orizzontalmente a metà del riquadro-fotogramma di entrata della cinecamera stessa. Le immagini dunque, si formano con una serie fittissima di linee come in un primitivo schermo video alla Nipkow. I ritmi cinetici del film variano su accelerazioni e decelerazioni imposte fuori sincrono tra cinepresa e soggetti: con movimenti dall’alto in basso oppure con la macchina coricata su un fianco (ora la linea è verticale) dunque, da destra a sinistra e viceversa. Naturalmente senza otturatore né griffa. Questa tecnica filmica è molto nota anche per riprese scientifiche, ed è proprio anche questa mistura che vuole affiancare il mio desiderio grafico di grande ansia autocompositiva.

 

 

Programma #3

 

 

“Del tuffarsi e dell’annegarsi” 1972
Film 16 mm bianco e nero, sonoro, 24 ftg/s, 11′

(di questo film esiste una versione in 35 mm)

Del tuffarsi e dell’annegarsi. Il film narra dell’opinione che l’autore ha avuto per un certo tempo dell’acqua e di un suo tuffatore. Tutto è partito da un tuffo e da un gorgo che non c’era; due modelli plastici su cui lo sguardo viziato dell’autore ha posto un’inversione filmica dell’acqua e il suo corso, del tuffatore e i gorghi inventati. Questa dilatazione non prevista della natura spontanea viene però prevista nella natura poco spontanea del tuffatore che, dopo ripetuti slanci, trova finalmente quello un po’ fatale e un po’ desiderato.

 

“Secondo il mio occhio di vetro” 1972
Film 16 mm bianco e nero, sonoro, 24 ftg/s, 10′

(di questo film esiste una versione in 35 mm)

Secondo il mio occhio di vetro. La natura semi-scientifica che un po’ si ritrova è data per via del meccanismo visivo stereo-stroboscopico a cui fa ricorso. Puntiglioso caricamento paradossale di alcuni profili vorticosi tra negativo e positivo a cui fa perno un sonoro di percussioni super-sincronizzato, dando vita ad un groviglio solubile solo alla percezione più attenta di un test psicovisivo.

 

“Quando l’occhio trema” 1989
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 12′

Collaborazione di Mario D’Alba
(dedicato a Luis Bunuel)

Quando l’occhio trema. Tutto è partito dal famigerato occhio tagliato bunueliano che ci sorprende ogni volta. Occhio di un bue, ma è l’occhio di una donna! Il turbamento dell’incisione è trasformato da me in turbamento saccadico, incontrollato dell’occhio, appunto e della sua pupilla. Sottoposto ai ritmi stroboscopici del passo-uno come in un’arcaica pre-animazione lo sguardo ne è sconvolto andando a cercare un pò di drammaticità qua e là per il volto in rapide filastrocche cinetiche dei tondi e dello sclera. L’occhio degenere di Bunuel del bue inciso è il mio occhio di bue tremante

 

 

“Il finish delle figure” 2009
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 9’12”

[Ricavato] da rullini 35mm dove avevo attuato riprese con la tecnica del fotofinish, cioè immagini destinate alla fotografia, dunque ad [essere] immagini fisse. La mia tendenza è anche [quella] di animare [immagini fisse, fino] al limite della impossibilità tecnica. Scorrendo questi rullini di figure in agitazione, a passo-uno ho voluto ricavare un film da un non-film, dove appunto non esistono fotogrammi e dove lo scorrimento di ripresa a manovella è sì uguale a [quello di] una cinepresa, senza [però] essere una cinepresa. [E’] interessante per me, lo scontro tra immagini disabitate dalla sequenza a cui veniva offerta un’azione, un movimento verso un racconto cinetico, non più fotografico che favella la fine delle proprie immagini.

Programma #4

 

“L’operatore perforato” 1979
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 10′

L’operatore perforato. Film desunto da uno spezzone di un vecchio e anonimo film Pathé avente la ben nota perforazione centrale a cui sono stati aggiunti brevi frammenti estranei. Al centro della perforazione un operatore sconosciuto tenta in qualche modo di filmare parte di una storia (di sé, di chi?) apparentemente riuscendoci. Implacabile, la perforazione centrale scassa e disturba l’immagine dell’operatore, diventando essa stessa protagonista centrale, sino a diventare quasi uno schermo anzi, schermo.

 

“Metamorfoso” 1991
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 12′

(dedicato a M.C.Escher)

Metamorfòso. Si sa che la disposizione delle immagini disegnate da Escher non è per animazioni né per pre-animazioni; anzi, tutto il loro contrario. Le sue, paiono azioni di dissolvenze metamorfiche. Un volatile sprofonda nella raffigurazione di una casa che muta in pesce, che torna volatile, ecc. Non c’è un solo batter d’ali; tutto è ripetuto e fisso, immergendosi e riemergendo in un continuum statico. Escher è tutta una lode ad una delle maggiori anime del cinema, la dissolvenza incrociata. Gli atti cinetici li ho trovati proprio lì, nella casa che muta in pesce e tutto che muta. Ho dovuto ideare passo-passo specie di sequenze inesistenti e alla fine mi sono trovato a dissolvermi, ad incrociare me metamorfòso.

 

 

“Hilarisdoppio” 1972-73
Film 16 mm bianco e nero, sonoro, 24 ftg/s, 25′

Collaborazione di Sergio Garbato – Sonoro di Pier Farri – Voce di Jorge Krimer
(dedicato ad Alfredo Leonardi)

Hilarisdoppio. Autoripresa: film girato senza operatore. Testimone unico: la cinecamera. Fissa, diretta su un unico perimetro, ubbidiente all’ordine dei fili a cui io davo forza: si ritrovano personaggi sdoppiantisi in filtrazioni asimmetriche dell’andare e venire di autoironie. Composto di vari blocchi da film storico coma la Corazzata Ejsensteiniana; intrinsecata con scalinate di qualità diverse; l’uso incessante di negativi persecutori di positivi e viceversa; dialogo cinescenico tra sdoppio-filosofico e sdoppio-filmico.

 

 

Programma #5

 

“Filmarilyn” 1992

Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 10′

(dedicato a Paolo Vampa)

Filmarilyn. Questo breve film, mi sembra, alla fine, come (se lo) avessi ritrovato in qualche parte completamente dimenticato, come fosse stato un provino pre-cinematografico non riuscito. Tutte animazioni costruite da fotografie di un unico grosso libro. Al termine lei muore e nella simulazione viene trovata così come nella simulazione; come fossi stato io con la mia cinepresa ad entrare per primo nella sua stanza di morte.
“Farfallio” 1993
Film 16 mm bianco e nero/colore, muto, 18 ftg/s, 10′

 

Farfallìo. Lo sfarfallìo cinetico, il flicker, viene immesso nello sfarfallìo di farfalle riprese da piccoli libri. Il mio intento è stato, come altre volte, quello di tentare di animare ciò che sta inesorabilmente nel chiuso, nella fissità dell’inchiostro di stampa di un libro. In questa prova ho affiancato il ritmo di fotogrammi erotici nel compulsare di farfalle e eros. I cinque minuti bellissimi di ali di falene su pellicola del grande Stan Brakhage: io non avrei mai staccato ali alle farfalle, anche se… notturne.

 

“Piccolo film decomposto” 1986
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 13′

(dedicato alla Cronofotografia)

Piccolo film decomposto. Questo brevissimo film è dedicato alla cronofotografia che -come si sa- è il preludio del cinema. Come un mio precedente film dedicato a Muybridge (L’assassino nudo, 1982), questo è stato ricavato da libri e cataloghi vale a dire, dall’inchiostro tipografico. Ho cercato -in un certo senso- di animare l’inanimabile come nel caso del fotografo narrativo Duane Michals provvisto, a volte, di soli tre o quattro fotogrammi. Mi è stata di grande aiuto qua e là, l’antica tecnica stroboscopica o il più aggiornato flicker. Ho provato immedesimazioni cinetiche dello Skladanowsky con Avedon; contaminazioni appunto, tra creatori di film e creatori di fotografia, contemporanei e non. Sorprende vedere Michals fotografo contemporaneo così tanto cinematografico quanto Londe protocineasta. Spero almeno di aver narratola loro commistione, diretta come da un unico, nascosto autore.

 

 

“Volto sorpreso al buio” 1995
Film 16 mm bianco e nero, muto, 18 ftg/s, 6′

Volto sorpreso al buio. Da vecchie lastre di un anonimo fotografo degli anni ’50 ho ricavato questo impossibile film (lastre che hanno contribuito anche a comporre un mio piccolo libro dal titolo Sconosciuti). Fotogramma per Fotogramma, lastra per lastra con lembi di luce riflessa e lembi di decine di volti, ho provato a sottoporli a un unico flusso cinetico pensando ad un solitario, singolo volto emerso dal buio.