Il film d’esordio del ventiseienne Marco Bellocchio è dominato da una famiglia di provincia solo apparentemente normale, composta da una madre cieca e i suoi quattro figli.
Augusto, il primogenito lavoratore e borghese; Giulia, che da Augusto è attratta sessualmente; Leone, epilettico e ritardato mentale; e infine Alessandro, anch’egli epilettico, percorso da un sentimento di amore/odio nei confronti della sua famiglia che lo porterà a distruggerla.
Il lungometraggio rappresenta un terremoto nel panorama cinematografico del tempo
Siamo negli anni Sessanta, e I pugni in tasca assume appare da subito come un film manifesto di una nuova generazione che grida il il disagio della propria condizione esistenziale, schiacciata e soffocata da convenzioni borghesi che non le appartengono più.
La strage compiuta da Alessandro diventa quindi emblema perfetto dell’insoddisfazione giovanile del tempo e della sua ribellione contro questo tipo di società borghese.
Centrale è la spiegazione che lo stesso Bellocchio fornisce del titolo, I pugni in tasca: “Il titolo I pugni in tasca vorrebbe esprimere l’atteggiamento volontariamente malato di Alessandro, nel suo comportamento pubblico e famigliare; atteggiamento di rivolta a una condizione esistenziale che non si manifesta mai sotto forma di cosciente rifiuto, ma che si esalta nella solitudine e prova la sua forza in un’arca fantastica dominata dai sogni, dove le frustrazioni e le impotenze si accumulano e si moltiplicano.”
“Chi tiene i pugni in tasca si avvia inesorabilmente verso le conseguenze estreme della propria ignavia: quanto più i pugni sono rimasti stretti nell’angustia di una progressiva incapacità di azione, tanto più incontrollabile e fatale esploderà infine il desiderio di rivolta e la troppo compressa vocazione al male”.
Contribuiscono al successo del film, oltre alla sua profonda carica eversiva, una forte innovazione data dall’uso di uno stile personale e l’interpretazione di Lou Castel, che dona al personaggio di Alessandro una melanconica dolcezza.