Paolo Sorrentino è uno dei pochi registi italiani ad aver avuto (e ad avere tuttora) una proficua collaborazione con la realtà produttiva americana.
Il regista incontra Sean Penn nel 2008, in occasione del Festival di Cannes. Appena tre anni dopo, riuscirà ad affidare all’attore statunitense il ruolo di Cheyenne, protagonista di This must be the place, suo primo film in lingua inglese.
Cheyenne è una ex rockstar sul viale del tramonto. Non si esibisce più, della rockstar gli rimangono solo un trucco troppo pesante e dei vestiti eccentrici. Ma la morte del padre lo chiama a intraprendere un road trip americano che lo porterà a combattere la battaglia che suo padre prima di lui stava combattendo.
E, così facendo, riuscirà a ritrovare il vero se stesso sotto la maschera del trucco.
Tratta di questo l’esordio cinematografico di Sorrentino negli Stati Uniti. Un esordio in cui il regista riesce a fare suoi alcuni stilemi tipici del cinema americano più classico (uno su tutti, la struttura del road movie), fornendo anche una rappresentazione tutta sua delle atmosfere statunitensi (si pensi al pistacchio più grande del mondo).
La realtà produttiva americana e i suoi budget estremamente più elevati hanno inoltre permesso a Sorrentino di raggiungere l’apice del suo virtuosismo tecnico, tra inquadrature mozzafiato e inusuali movimenti di macchina.
Ma il rapporto di Sorrentino con gli States non finisce qui: nel 2013, Oscar a La Grande Bellezza, tornato in Italia dopo 15 anni. E, nel 2015, arriva Youth, il suo secondo film in inglese con due attori d’eccezione, Michael Caine e Harvey Keitel.
Un cast tutto americano per una produzione maestosa, contraddistinta dalla curatissima fotografia di Luca Bigazzi.
Il film racconta la storia di due vecchi amici, Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel), l’uno direttore d’orchestra e l’altro regista, che si concedono una vacanza insieme nel cuore della Svizzera. Fred ha deciso che non dirigere mai più; Mick, d’altro canto, è determinato a fare il suo ultimo film, un testamento della sua attività registica.
Youth, come d’altronde molti film di Sorrentino, ha spaccato la critica in due: chi lo vede come un vuoto esercizio virtuosistico, e chi invece ha esaltato la sua abilità di rappresentare il magma emozionale contemporaneo attraverso i piaceri dello sguardo.
È per questo che in molti sostengono che il vero contenuto di Youth risieda nella sua estetica, nella sua forma
Il virtuosismo delle immagini, la creazione di scene che sono sempre quadri perfetti, sarebbero ciò che viene offerto allo spettatore per navigare nelle storie dei personaggi.
Un plauso particolare va alla recitazione di Michael Caine, che fornisce un’interpretazione al tempo stesso distaccata e molto profonda.