“Per arrivare alla vostra destinazione ci vuole la passione autentica, non mimetica. Io a 13 anni volevo fare il tennista, non leggevo neanche un libro e i miei genitori erano disperati. Quando ho fallito da tennista ho ripiegato nel cinema”
Sono parole di Matteo Garrone, regista tra i più affermati nel panorama italiano degli ultimi anni, che scherzava così al Giffoni Film Festival, dove lo scorso luglio ha ricevuto il prestigioso Premio Truffaut. Garrone infatti, con la sua vocazione al cambiamento e al cinema come esperienza di vita, non poteva mancare nella lista di personalità che il Lucca Film Festival ha avuto il privilegio di ospitare. Il cineasta romano ha presentato al festival di Lucca, nel 2015, uno dei suoi primi lungometraggi, “L’Imbalsamatore” (2002) piccolo gioiello meno noto rispetto alle successive produzioni, che gli sono valse il successo non solo di critica, ma anche di pubblico. Ha inoltre ricevuto il Premio alla Carriera nella sezione di Viareggio, dove era ospite anche un altro importante autore italiano contemporaneo, Francesco Munzi, che presentava il suo straordinario “Anime nere”.
Dal documentario alla fiction
Garrone è una figura che ben rappresenta una vocazione italiana, radicata negli anni ’80 di Claudio Caligari e Nico D’Alessandria (e nei ’60 di Pasolini), capace di superarsi fino ad approdare alle frontiere antinaturalistiche della Computer Generated Imagery. Il suo primo cinema nasce come documentario, e al documentario attinge anche nella fiction. Dal suono in presa diretta, all’utilizzo del non professionismo attoriale di “Primo Amore” (2004), uno dei suoi lavori più belli e dolorosi, arriva così all’opera decisiva per la sua affermazione sul piano nazionale e internazionale, “Gomorra” (2008). Tratto dall’omonimo libro-inchiesta di Roberto Saviano, il film consacra definitivamente il regista, ottenendo il Grand Prix al Festival di Cannes. “Gomorra” costituisce infatti un traguardo vitale per il regista, in senso tanto contenutistico, quanto formale.
I brani documentari e il concetto tutto caligariano di cinema verità emergono nella scelta del cast, dei meccanismi recitativi, dei luoghi. All’esigenza documentaria si accompagna un’attenta costruzione formale:
“Gomorra è un film che va aldilà del luogo in cui era ambientato ed è un film che parla di temi universali. Napoli, ha in sé la possibilità di offrire espressioni, facce e caratteri importantissimi per un film”
dice il regista (Giffoni, 2016). Un’istanza rappresentativa insomma, dove il massimo effetto realistico corrisponde alla massima capacità di fiction. Per la parte del protagonista, Franco, Garrone sceglie infatti Toni Servillo, attore tutt’altro che dilettante. Servillo in “Il talento e la disciplina” racconta:
“Garrone mi ha detto ‘Voglio un attore, perché ho bisogno di questa recita, cioè che il personaggio più negativo del film dia il personaggio più simpatico e questo lo può fare solo un attore’… voleva che raccontassi allegramente un disastro”.
Dalla fiction alla fiaba
A distanza di quasi dieci anni, la collaborazione con Servillo sembra rinnovarsi, rafforzando l’evoluzione poetico-stilistica segnata da “Il Racconto Dei Racconti” (2015), prima produzione in lingua inglese con un cast internazionale (fra gli altri Salma Hayek e Vincent Cassel). Se “Il racconto dei racconti” stravolge il realismo garroniano, inauguarando un nuovo iperrealismo fantastico (in CGI), il suo secondo progetto post 2015, sarà un adattamento in live action di “Pinocchio“, collocandosi dunque lungo la stessa linea che gli è valsa ben sette David di Donatello nel 2015. Le riprese del “Pinocchio” di Garrone cominceranno nella primavera del 2017 e vedranno all’opera buona parte del team creativo di “Il racconto dei racconti”. Per quanto riguarda il cast, è ufficiale, al momento, la presenza di Toni Servillo nei panni di Geppetto.
“Quello di ‘Pinocchio’ è uno dei miei sogni più cari, risale a quando ero bambino. È sempre stato un personaggio che mi ha molto intrigato e molti hanno notato la sua influenza sia in “Gomorra” che in “Reality”. Con questo film completerò il mio viaggio nel mondo delle fiabe che ho iniziato a esplorare con “Il racconto dei racconti”. Spero che “Pinocchio” possa rappresentare un’evoluzione, considerata l’esperienza che ho maturato. Se ho cercato il bambino ideale anche a Napoli, tra Scampia e Montesanto, è perché so che in certi luoghi del Sud c’è un’infanzia che cresce prima, rispetto ad altre città. Qui i ragazzini hanno una velocità di pensiero superiore, magari perché vivono la strada. Per interpretare questo personaggio so che devo trovare un piccolo uomo.”
ha detto il regista al Giffoni, e ha poi concluso:
“Mio figlio è il vero Pinocchio ma non farà il film perché dice che è timido. Anche se esprime il piacere per la bugia”.