La nuova fantascienza
Negli ultimi anni si è sentito parlare parecchio della nuova stagione del genere fantascientifico. Pellicole come “Arrival“, “Interstellar” o il meno famoso “Moon” di Duncan Jones, hanno portato lo spettatore a guardare allo spazio in modo differente. Niente più lotte intergalattiche o minacce di invasione aliena bellicosa, ma piuttosto un racconto più silenzioso, lento e filosofico sull’inabitabilità dello spazio, sulla sua immensità e sopratutto sulla solitudine dello spazio. Le pellicole di Nolan e Jones descrivevano due astronauti a milioni di chilometri da casa, come “Il Sopravvissuto” Matt Damon nell’omonimo film di Scott; “Arrival” racconta con un approccio linguistico e di pura scoperta l’incontro con l’ignoto, rappresentato dall’arrivo degli alieni.
Tutte queste opere, di incredibile successo, hanno una discendenza diretta da “Gravity“, uno dei film più premiati degli ultimi anni. L’opera di Cuaron, presentata a Venezia nel 2013, ha ottenuto ben sette premi oscar e un successo quasi senza precedenti di critica. Ma cosa rende il suo cinema così innovativo?
Cuaron: da I figli degli uomini a Gravity
Quando è stato ospite del festival nel 2015, il regista americano ha raccontato in un incontro con il pubblico tutta la sua carriera. Ha raccontato l’amicizia con “El chivo”, Emmanuel Lubezki, suo collaboratore e amico da quando erano adolescenti, ha parlato del suo primo lavoro in una grande produzione quale “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban“; ma soprattutto, ha parlato di quello che insieme a “Gravity” è probabilmente il suo miglior film e il punto di partenza della “nuova fantascienza”: “I figli degli uomini”.
Prima dell’ormai lontano 2006, data di uscita della pellicola, non si era mai vista una pellicola fantascientifica che trattasse di un futuro incredibilmente dispotico in modo così teneramente umano. Già, perché nonostante il film racconti l’inizio dell’apocalisse (nel 2027, le donne non riescono più a rimanere incinta e l’umanità sembra così ad un passo dall’estinzione), il grande coraggio e la profonda umanità del protagonista, interpretato da Clive Owen, riescono a sdoganare un genere tradizionalmente di “nicchia” e pongono al centro l’uomo e non più “la macchina”.
La grande innovazione del regista messicano sta proprio nell’aver rimesso l’uomo al centro di tutto. Il dramma dell’attraversata, della fuga e del sacrificio vengono espressi attraverso la fantascienza ma rappresentano il centro della pellicola. “Gravity”, in modo analogo, raccontando letteralmente la deriva nell’immensità dello spazio di un astronauta, vuole raccontare l’attaccamento alla vita dell’uomo e la sua capacità di sopravvivenza. Nel rapporto tra Clooney e la Bullock in “Gravity“ o tra Owen e la protagonista ne “I figli degli uomini“, vi è una fratellanza solida, semplice e solidale, tipica dei drammi, ma esteticamente rinvigorita dalla maestria regista di Cuaron e dalla visione, turbante e meravigliosa, dello spazio nel primo e nella terra che va morendo nel secondo.
Roma, il nuovo progetto Messicano
Cuaron è quindi riuscito a portare il sentimento semplice nella complessa macchina del genere fantascientifico. Abbandona il manicheismo tipico (la lotta tra il bene e il male), per raccontare i sentimenti più elementari dell’uomo. Il suo nuovo progetto, “Roma“, in uscita nel 2018, non sembra fare differenza. Il film sarà una piccola produzione, ambientata a Città del Messico, che racconterà un anno nella vita di una coppia negli anni ’80. Nonostante il drastico cambio di genere, Cuaron torna ad affrontare il rapporto elementare tra gli individui. Non ci resta che aspettare!