“Aprimi il Cuore (2001) inizia come sguardo quasi voyeuristico alla passione vietata, per poi trasformarsi in un vero noir italiano.”
Sono parole di Deborah Young che così recensisce, su Variety, il primo lungometraggio Giada Colagrande. Girato in digitale e accostato da Morando Morandini alla New French Extremity di Catherine Breillat, il primo film della regista e documentarista abruzzese suscita notevole curiosità nella critica per la capacità di trattare il tema dell’amore malato tra due sorelle attraverso un inatteso minimalismo narrativo. Privo delle carinerie di un certo cinema italiano e coraggioso nella ricerca dell’invisibile il lavoro del 2001 partecipa a numerose rassegne cinematografiche internazionali (Tribeca; Paris Cinema), inaugurando la carriera della giovane pescarese, già autrice dei tre originali cortometraggi Carnaval (1997), Fetus – Quattro porta morto (1999) e N.3.
Giada Colagrande: arte, videoarte, moda
Classe 1975, cresciuta tra Svizzera, Italia e Australia, appena ventenne è già attiva nei circuiti culturali romani dove gira interessanti opere di videoarte, oltre che documentari sull’arte contemporanea. Contesto, questo, decisivo per la sua formazione. Dal 1997 al 2000 aderisce a VOLUME, progetto che le permette di realizzare documentari su artisti contemporanei del calibro di Jannis Kounellis, Alfredo Pirri, Bernhard Rüdiger, Nunzio, Raimund Kummer, Gianni Dessí, Maurizio Savini e Sol Lewitt. Nel 2012 collabora con il marchio Prada, realizzando The Woman Dress, terzo cortometraggio della serie The Miu Miu Woman Tales.
Arte e cinema
“Se non avessi fatto la regista, beh da piccola sognavo di fare la ballerina, la danza è l’altra mia passione, insieme all’architettura. E poi la musica… quindi la musicista.”
Il lavoro nell’ambito della videoarte e la passione per il cinema (dai noir wilderiani come Viale del Tramonto alle opere del maestro portoghese Manoel de Oliveira) conducono Colagrande, nel 2005, al suo secondo lungometraggio, Before It Had A Name. Risultato della pluriennale collaborazione con la performer Marina Abramovic, il film è il primo dei tre dedicati all’artista serbo-americana, emblema della body art.
“Ho avuto la fortuna di trovare diverse persone che nella mia vita mi hanno dato grande ispirazione e mi hanno insegnato molto. Una di queste è qui al festival in questi giorni per il mio film: Marina Abramovic. Sia come artista che come donna è sempre stata una grande fonte di ispirazione. Poi direi mia madre e mia donna, pensando alle donne in senso generale.”
Realizzato insieme all’attore Willem Dafoe, il film è un tratto distintivo nel loro sodalizio professionale, che proseguirà con A Woman (2010) e con un secondo documentario biografico sull’Abramovic, per la regia del genio teatrale Robert Wilson: Bob Wilson’s Life & Death of Marina Abramovic. Una serie di visioni onirico-biografiche generate dall’incontro del segno registico di Giada con i quadri animati di Wilson.
“Marina è una persona a me cara, lo sono naturalmente anche Willem e Bob. La mia curiosità rispetto alla loro collaborazione era insaziabile. Quando Marina piangeva mi trattenevo per non farlo anch’io, quando Willem aveva scene fisicamente difficili a me veniva la tachicardia.”
Battiato e la musica
Nel 2012 il sodalizio continua con The Abramovic Method. Nel 2016 è la volta di Padre, riflessione matura sulla morte di un padre e compositore, interpretato da Franco Battiato, musicista d’eccellenza, che sullo sperimentalismo ha edificato oltre quarant’anni carriera.
“Mi ha aiutato a capire che la morte è una transizione”
dice di lui la regista.
Giada Colagrande sarà al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2017, che rivolgerà un omaggio ai suoi film e la vedrà protagonista di una conversazione con il pubblico su cinema, musica e sperimentalismo.